lunedì 15 dicembre 2014

ECOSISTEMI [la vita segreta del peperone marcio]



  Mi sveglio che la sensazione è strana.
  C’è qualcosa che non va.
È tipo un serpente che si aggroviglia attorno alla colonna vertebrale, che sale su e chiede solo di uscire, di essere libero. Non riesco a focalizzare subito la sensazione ma mi muovo, mi agito, come se dovessi scrollarmi di dosso un pensiero brutto.
Mi alzo piano, scrupoloso quasi.
  Tipo una percezione, differente dal solito ma non nuova.
L’ho già provata.
  Quando?
Fuori dal letto.
  Formicolio. Qualcosa di brutto.
Sì ma cosa?
  «Simone!», mi dice allarmato Ganesh. «Sarà morto sicuramente! L’avranno ucciso i capitalisti! Simbolo incompreso della disoccupazione (ex) giovanile!»
  Apro la porta della camera del mio coinquilino. Fosse veramente morto…
  «Potrebbe essersi ucciso! Lo troverai riverso in un lago di sangue nel suo letto e, cosa ancora più grave, dovrai lavare tutte le coperte!»
Stringo gli occhi, il buio è ovunque.
  «Simone…», sussurro.
Poi lo vedo, è sdraiato. E russa.
  Mi chiudo la porta alle spalle piano, senza far rumore.
C’è qualcosa di strano nell’aria, non riesco a capire ma puzza. La cosa dico.
  «Non è che hai lasciato quel peperone di due settimane fa in frigo?», mi chiede il Criceto teneramente posato sulla mia spalla.
  «Per una volta la bestiolina ha ragione Elia… e se nel frigorifero si fosse creata una terribile forma di vita mutante e non aspettasse altro di uscire per divorare l’intera razza umana? Pensaci, sarebbe tutta colpa tua», dice Ganesh.
  «Ha ragione! Armati, proteggici tutti!»
Inforco il casco di Simone, la bandana dei cortei, un giubbotto antiproiettile e ci sono.
  «L’arma l’arma!»,  mi ricorda il Criceto.
Prendo il mestolo, quello grande.
  Davanti al frigo.
  Mi fermo.
Respiro piano.
  Apro.
La luce mi acceca.
  «Moriremo tutti!»
Guardo. Non c’è niente, il frigorifero è completamente vuoto.
  «Non è vero, osserva attentamente: le merendine biscotto mou e cioccolato, il latte condensato, il gelato alla vaniglia sciolto, le pesche sciroppate, il succo alla pera scaduto, due bottiglie di aranciata, la boccia di vino del Todis e…ma quello cos’è?!?»
  Sgrano gli occhi. Cazzo il peperone.
BREVE CONVERSAZIONE TRA ME, IL VERME CAPOFAMIGLIA CHE HA OCCUPATO IL PEPERONE E GANESH:
ME: C’è un verme Cristo!
VERME CAPOFAMIGLIA: La prego Signor Elia Mangiaboschi Padrone & Signore del cielo, della terra e del frigorifero, non ci uccida! La mia famiglia è qui, guardi…
ME: Uno due tre quattro cinque sei, ma quanti siete?
VERME CAPOFAMIGLIA: Centoquindici Signore, per servirLa Signore…»
ME: Dovrei buttare il peperone, la muffa sta coprendo ogni cosa.
VERME CAPOFAMIGLIA: Non lo faccia! È la nostra casa! Guardi, vede i miei piccoli, guardi che bel musino che hanno… chiari chiari…
ME: Sono belli è vero, ma la mia incolumità…
GANESH: Umano senza cuore! Uccidere così un’intera famiglia! Che tu sia maledetto!
Chiudo il frigorifero, il peperone ancora dentro.
  «Aspetti!», sento urlare.
  «Verme, cosa vuoi ancora?»
  «Credo di sapere cosa La affligge».
  «Lo sporco?»
  «No».
  «La fine degli ideali?»
  «No».
  «La cena a base di surgelati di ieri sera?»
  «Cucinava Simone», dice il Criceto.
  «Eh».
  «No».
  «E cosa allora?!? Dimmelo, prima che ci ripensi e vi sfratti tutti quanti!»
  «Basta uscire di casa Signor Elia Mangiaboschi. Un passo fuori e capirà ogni cosa…»
  «Ha ragione Elia, più veloce della luce!»
Corro, faccio colazione con la merendina al cioccolato e il caffè e la sigaretta, caco senza che la mia cacca intasi niente, mi lavo e finalmente esco.
  E quando esco
  capisco. 
C’è Anda la portinaia.
C’è Anda la portinaia china a terra.
C’è Anda la portinaia china a terra, lo sguardo concentrato.
C’è Anda la portinaia china a terra, lo sguardo concentrato e le lucine ovunque.
  Oh no.
Il mio Io scava nella memoria, come una Ferrari rosso fiammante percorre le strade dei ricordi, salta semafori e si avventa sui pedoni. Poi si ferma davanti ad una porta rossa.
  «Metti l’allarme, non si sa mai con ‘sti neuroni», suggerisce il Criceto.
Sono davanti alla porta.
  «Non aprirla!», urla Ganesh.
Ma ormai è troppo tardi.
  Rimango pietrificato, un brivido freddo mi attraversa la schiena, stringo la sciarpa. Sono perduto.
Anda sorride. «Che ne dici?», mi chiede, il rossetto ben spalmato sulle labbra. «Lola lo trova fantastico!»
  «Non darle un dispiacere! Non essere cattivo!»
Io lo odio. Le fiamme dell’inferno mi avvolgono. Il diavolo sorride maligno. Marx accanto a lui mi guarda, aspettando la mia mossa.
  «Anda è una donna semplice Elia, non scoraggiarla! Guarda con che amore ha posizionato il tutto!», spiega Ganesh.
  «Il problema non è Anda, mio giovane rivoluzionario, ma quel che sta facendo», mi imbocca Marx. «Bisogna educare le masse».
  Sono combattuto.
Opzione A: Bardarmi dalla testa ai piedi e commettere atti di terrorismo. Black Bloc power.
Opzione B: Fuggire via e chiudermi in casa, fino a che tutta questa storia non sarà finita.
Opzione C: Affrontare la realtà e vivere da uomo.
  «Sii uomo!», mi incoraggia Gandalf comparso dalla Terra di Mezzo.
  «È bellissimo Anda, un vero capolavoro…», sorrido.
Anda si scioglie.
  Sono dentro. Devo giocare.
  «Chi siamo noi?»
  «Uomini!»
  «E cosa vogliamo?»
  «Decorare decorare decorare!»
L’albero di Natale è immenso, pieno di palline colorate, Gesù bambini prematuramente crocifissi, stelle cadenti, lucine e tocchi di neve artificiale.
  È Natale cazzo.
Mi reggo alle scale, gli addobbi sono ovunque.
  E ora, Signori & Signore, mentre tutto attorno a voi (e a me) acquista colore e il rosso macchia le strade, in questo felice momento di giubilo prefestivo, quando tutti, e dico tutti, si ammassano nelle strade comincia…
LO SPAVENTOSO INCUBO DEL NATALE
  Uhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
  «Che è?»
  «Il coso là, l’urlo del fantasma insomma, c’hai presente no?»
LO SPAVENOTOSO INCUBO DEL NATALE, detto anche LO SPAVENTOSISSIMO INCUBO SENZA FINE DEL NATALE colpisce i più intorno al quindici dicembre. D’improvviso le strade si riempiono di addobbi natalizi, Babbo Natale infesta ogni cosa e il traffico inghiotte la città.
  I più avventurosi si immergono lungo viale Marconi alla ricerca del regalo sgargiante.
  Le finestre dei palazzi colano mocciolo di stelline fosforescenti.
  Babbo Natale, novello ladro della società del controllo e della sicurezza, si arrampica lungo i balconi, lo sguardo di chi la sa lunga.
  Urla, disperazione e caos.
Io cerco di non pensarci, mi comporto come sempre, faccio finta di niente, rimuovo quasi l’allegra festività.
Ma poi
nel buio della notte
Gesù bambino viene a ricordarmi i miei doveri.
GESU’ BAMBINO: Figliolo, per anni hai creduto al buon Babbo Natale, senza sapere che il vecchio altri non era che la fortunata pubblicità di quella nota bibita che tanto disprezzi.
IO: La Coca-Cola?
GESU’ BAMBINO: Bravo ragazzo, sai quanto la odiamo, il tuo amico Bakunin ed io dico…
IO: Lo so Gesù bambino. Ma al tempo, ero un marmocchio insomma…
GESU’ BAMBINO: Non credevi in Dio già allora. Però a Babbo Natale eccome ci credevi.
IO: Era tutta convenienza, glielo giuro! Tutta ‘na roba di regali! Fregavo i miei no? Voi mica li portate i regali, ecchecazzo… ops, mi scusi Gesù, però pure tutta ‘sta storiaccia dell’Ici… eh…
GESU’ BAMBINO: Povero piccolo Elia, così attaccato a questa vita materiale. Sono qui per altro però. Sono qui per ricordarti la carità cristiana.
IO: Ma Gesù mi scusi, io non sono cristiano.
GESU’ BAMBINO: Ma il Natale è LA festa. A Natale siamo tutti più buoni.
IO: E quindi?
GESU’ BAMBINO: I tuoi genitori si aspettano qualcosa da te. Un dono. Un pensiero. Un omaggio floreale.
IO: Cederò così alle lusinghe del consumismo! Sarò costretto a vagare alla ricerca del regalo perfetto! Perché Dio!?! PERCHE’!

  Non puoi sfuggire al Natale. Il Natale è ovunque. Per quanto tu possa odiarlo lui è lì con te, sempre. Il Natale è nelle pubblicità, nei film natalizi, in televisione e nelle serie televisive, al cinema con i cinepanettoni e i cartoni della Disney, in strada, nel cibo, al lavoro, a cena, ma soprattutto è nelle orecchie.
  Da quando ho scoperto che è Natale canticchio sempre la stessa canzone:
E’ Natale e a Natale si può fare di più,
è Natale e a Natale si può amare di più,
è Natale e a Natale si può fare di più
per noi:
a Natale puoi.
  Che insomma, è come dire che a Natale posso fare quello che cazzo mi pare, una cosa di un egoismo assurdo, cioè, onesto, onesto ma egoista. Bacchettone, sì lo so.
  Comunque, la canzoncina mi entra in testa come un mantra e la canto più di Jingle bells, non posso farne a meno e a ogni strofa divento più cattivo. È peggio che vivere insieme all’omino autistico della Conad, «Amore, c’è un problema».
  Pedalo sempre più frenetico, sgattaiolando tra le automobili piene di bambini urlanti.
  «Vai più piano Elia!», mi implora Ganesh.
Ma io non posso fermarmi; li vedo, dentro i cubicoli, ‘sti famiglioni tipicamente italiani con il sorriso da psicofarmaco stampato sul volto, già pieni di pacchetti e pacchettini, i figli a rimorchio sbattuti su passeggini di plastica e stoffa, urlanti al punto giusto, il ciuccio sgranocchiato sempre in bocca. Li vedo e penso, “‘Cazzo gli regalo ai miei”.

  Al lavoro è ancora peggio. Tutti parlano di regali, l’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante medita di regalare un fiocco rosso alla stampante, Gina vuole assolutamente un nuovo smalto per le unghie «Per capodanno, sai quanto rimorchio?», Manolo un paio di scarpe da settecentonovantanove euro e novantacinque centesimi e il signor Marco un massaggio in uno di questi centri massaggi di dubbia fama. C’è pure l’omino della Conad, quello autistico, che c’ha tutte offerte da proporre ma nessuno se lo incula, da quando la moglie ha chiesto il divorzio.
  «Adotterò un bambino africano!», dice la figlia del Principale ticchettando le dita sulla scrivania lucida.
  «Ed io un cammello!», le fa eco un troll.
  «Io donerò un euro e sette centesimi per gli orfani del Darfur!»
  «Ohhh, come siete buoni!»
  «A Natale siamo tutti più buoni!»
  «Se non si è buoni a Natale…»
  «George Clooney ce l’ha insegnato…»
  «La sua campagna nel…»
  «Nel…»
  «Nel Darfur appunto! George mi ha aperto gli occhi!»
  «Dobbiamo aiutarli sì…»
  «Ma a casa loro…»
  «E tu Elia?»
  «Io?»
  «Ci sono così tanti bambini che muoiono di fame… donerai, non è vero?»
  Sì, un qualche movimento rivoluzionario che vi sterminerà tutti!
  Ah! Ah! Ah!
  «Uh, certo. Gattini. Come quelli che postano su Facebook. Gattini bianchi. E neri anche. Cioè, non li dono eh… la faccio, la donazione dico».
  «Che amore…»
A Natale puoi…

  Esco di corsa. Non troverò mai il regalo per i miei genitori. Afferro la bici ed ecco, ci sono anche io, inglobato nel Malefico Mondo Del Regalo Di Natale.
  A viale Marconi l’intera strada è in festa. Supero una Befana gigante, un uomo travestito da cellulare, un altro con un costume da renna arrugginita. Entro in libreria e il caldo mi assale.
  «Signore, ehi signore», un bambino mi afferra una gamba.
Lo scanso con un calcio. Odio i bambini, per anni ho fatto l’animatore, sono arrivato ad un punto in cui non li sopporto più. E poi a Natale IO odio tutti.
DIO: Elia, un tempo non era così, ricordi come aspettavi il Santo Natale ogni anno, tutti gli anni, assieme alla tua famiglia?
ELIA: Dov’è tuo figlio, parlo solo con lui io.
DIO: Al bagno, ci sta le ore. Ieri sera s’è un po’ abbuffato, sai com’è fatto.
ELIA: Dio scusa tanto eh, però cioè, lo vedi dai…
DIO: Cosa?
ELIA: Come stanno tutti no? Sembra si siano pippati dodici botte di anfetamina… maddai…
DIO: Chiedi scusa al bambino Elia.
ELIA: Ma no Dio, giammai.
DIO: Senti piccolo stronzetto, chiedi scusa al bambino o giuro che ti caccio all’inferno a calci in culo!
  Mi volto verso il marmocchio, «Scusa bel bimbo», sorrido.
  «Che vuole da mio figlio?»
  «Niente, solo scusarmi».
  «Cosa le ha fatto?»
  «Assolutamente nulla».
  «Voleva rapirmi papà», dice il bimbo con sguardo angelico. «E portarmi nel campo degli zingari».
  «Ma non è vero!»
  «Sporco comunista zingaro! Anche a Natale vi ci mettete! Andate a lavorare drogati!»
  Corro via. Non farò mai il regalo ai miei.
A Natale si può fare di più…

  A casa accendo il computer, casomai trovo qualcosa su internet.
La pagina di Google si riempie di colori.
  Apro Facebook:
ERNESTO SON LESTO:  Quest’anno mi voglio fare un albero di Natale di tipo speciale, ma bello veramente. Non lo farò in tinello, lo farò nella mente, con centomila rami e un miliardo di lampadine, e tutti i doni che non stanno nelle vetrine”.
MASSIMO DELLAPENA (noto avvocato per i diritti dei minori e delle specie in via d’estinzione): “Un Natale pieno d’amore, c’è chi soffre su questa terra, c’è poca pace, ma c’è guerra. Una preghiera mio piccino, lo dico a te Gesù bambino”.
GIOVANNA CARAMELLA: “Il mio piccolo cane nero festeggia il Natale con me. Non abbandonate gli animali, chi abbandona gli animali è un MOSTRO”.
E poi giù, valanghe di foto di gattini, topini, cricetini, leoncini e Befanine.
  Provo con Twitter, che si sa è più serio. Scrivo: “Vi prego, ho bisogno di un regalo per il padre e la madre!”.
In un attimo mi arrivano valanghe di risposte:
  Un libro, regalare un libro è sempre cosa originale!
  Un film, regalare un film è sempre cosa originale!
  Un fumetto, regalare un fumetto è sempre cosa originale!
Spengo il computer, apro il frigo ormai invaso dai vermi. Mi guardano, stanno diventando belli grandi. «Come crescono», dico a Verme Capofamiglia.
  «Sono il mio orgoglio! Jacob, Jake, Jalen, James, Jared, Jarod, Jason, Jasper, Jay, Jaylen, Jeb, Jed, Jeff, Jeffery, Jem, Jemmy, Jep, Jericho, Jerold, Jerrod, Jesse, Jim, Jimi, Joby, Joe, Joel, John, Johnie, Joseph, Josh, Joshua, Judah, Jude, Julian, Julius, Junior, Justin, Jert e Batuffolo, vi presento Elia Mangiaboschi, Padrone & Signore del cielo, della terra e del frigorifero».
  «Salve ragazzi».
  «Salve Elia Mangiaboschi».
  «Il mio coinquilino vi ha visto?»
  «Oh no, ci ucciderebbe senza pietà. Ci nascondiamo bene noi…», mi spiega Verme Capofamiglia.
Chiudo il frigo e vado da Simone. «Oh», dico.
  «Oh», risponde.
  «Beh…»
  «Eh».
  «Uh».
  «Ah»
  «Senti, non so che fare ai miei per Natale».
  «Cosa?»
  «Non so che fare…»
  «Quello l’ho capito… ma tu hai detto… NATALE?!?»
Ora, dovete sapere che il concetto spazio-tempo per Simone è irrimediabilmente mutato. Senza lavoro ha perso completamente la cognizione del tempo, non sa che giorno è o che ore siano, segue solo lo scorrere della notte e del giorno. È perso, tipo un animale in gabbia.
  «Natale?», ripete toccandosi la pancia sporca di sugo.
  «Già.»
  «Oh mio Dio! Come farò!?! Papà, mamma e fratello, tutti senza regalo! E due su tre sono nati a dicembre! Maledetta povertà! Maledetto sistema corrotto!»
  «Consolalo!», mi dice Ganesh.
  «Oh, dai. Vedrai… passerà. Ecco sì, passerà. Mi sembra buona come cosa no?», lo rassicuro facendogli pac pac sulla spalla.
  «Passerà!?! Sono un uomo finito cazzo!»
  «Maledizione! È entrato in piena depressione natalizia! Devi salvarlo Elia!»
  «Non so come fare amico Ganesh!»
  «Uccidilo».
  «Cosa?»
  «Uccidilo e nascondi il corpo!»
  «Simone, ehi… dai, faccio uno spino. Per i regali chiama tuo fratello no, ci pensa lui, poi i soldi glieli ridai.»
  «Dici?»
  «Certo…»
  «Cioè, la canna… la fai?»
  «Sì sì.»
  «Accendi pure la Play dai e cucina qualcosa. Qualcosa di buono, sono depresso, tipo che non c’è niente in frigo, giusto un peperone marcio, tocca fare un po’ di spesa. Se vuoi andiamo insieme al supermercato, anche se lo sai che sto male, il supermercato mi ucciderebbe, a te mica ti dispiace invece, ché vuoi comprare sempre tutte quelle schifezze vegetariane. Però fai un po’ te, cioè… sì, decidi tu ‘nsomma. Io ci vengo pure, tanto vado a fare yoga poi. Quaranta giorni gli stessi esercizi cazzo. Antidepressivi, dicono. Mah».

  Dormo sognando di arrampicarmi su immensi alberi di Natale innevati, le punte a conficcare la carne fresca, morbida. Mi sveglio urlando che è già mattina. Dai piani più in alto la vecchia sbatte i tacchi.
  Toc toc
  Toc toc
Canta anche, «Tu sceeeeendi dalle stelle o Re del cieeelo, e vieni in una grotttaaaa al freddo e al geeelo».
Non la sopporto. Raccolgo la scopa e comincio a battere sul soffitto. Niente. Continua.
  «O Bambino mio divino…»
Ora salgo.
  «Non farlo Elia, mantieni la calma, è anziana, ha sicuramente più potere di te… alla prossima riunione di condominio potresti essere cacciato».
  «Ganesh, magari mi cacciassero dalle riunioni…»
  «Stupido, dal condominio!»
  «Ah quanto ti costòòò l’avermi amaato».
E poi via, un paio di passi di Tip Tap.
Io l’ammazzo.
  Esco in pantaloncini e eskimo e corro su, due scale alla volta.
  «Signora!», busso. «Signora!»
Nessuno risponde.
  «Signora!»
  «Chi è?»
La stronza non apre.
  «Sono Mangiaboschi signora, quello del piano di sotto. La prego, è mattina, è presto. Cantare e ballare…»
  «Ballare?»
  «I tacchi signora…»
  «Ma io non ho i tacchi…»
  «E allora le zeppe, i cosi di legno, non lo so! Ma la prego, la smetta!»
La vecchia sussurra, sempre da dietro la porta: «Giovanotto, prima di accusare ascolti bene. Non sono io a far tanta caciara, è quello del piano di sopra. Le pareti qui sono sottili sottili, si sarà confuso…»
  «La voce era la sua».
  «Io non canto dal cinquantaquattro. Glielo ripeto, non sono io, vada al piano di sopra a lamentarsi. Non se ne può più. Veramente. E anche lei, un po’ di cuore. È Natale. Ora via, la porta intanto non la apro. E non voglio niente! Lo so come fate voialtri! Ho già dodici enciclopedie qui con me! E anche il piumone. Ha capito bene sì. Non si può star tranquilli un attimo al giorno d’oggi, altro che Natale. Vada via su, o chiamo l’amministratore!»
  Scendo, amareggiato e sconfitto.

  Non troverò mai niente.
Rimango immobile a guardare il frigo vuoto, pieno zeppo di vermi giganti.
  «Cosa La affligge Signore & Padrone del cielo, della terra e del frigorifero?», mi chiede Jake, o Junior, non ho capito bene.
  «Cosa ne vuoi sapere tu giovane verme solitario? Non so cosa regalare ai miei genitori per Natale».
  «Natale? E cos’è il Natale?»
  «Una festa orribile, te lo assicuro. Una cosa di stress, caos e consumismo, dove tutti sono obbligati a fare i regali».
  «E perché festeggiate lo stress?»
  «Una roba religiosa».
  «Come il peperone?»
  «Di più, almeno il peperone voi lo vedete».
  «Come Lei? Che è il nostro Signore & Padrone del cielo, della terra e del frigorifero?»
  «Una mezza specie forse.»
Mi sento quasi lusingato.
  «Però peggio, è tipo ‘na droga ‘sta storia del Natale; ti parte l’embolo. Tutti frenetici, canzoncine ovunque e addobbi che fanno cacare.»
  «E perché Lei festeggia?»
  «Obblighi».
  «Il mio obbligo è mangiare».
  «Il nostro invece è festeggiare il Natale. Ma vedi, mio piccolo amico, non so come fare. In fondo i miei ci tengono, anche se sono comunisti».
  «I comunisti non festeggiano il Natale?»
  «No. O almeno non dovrebbero… però stiamo in Italia, il Natale è importante. Mica si possono distruggere le tradizioni così, eh…»
  «Potresti regalargli i gamberetti».
  «Cosa?»
  «L’ecosistema progettato dalla NASA…»
  «E dove lo trovo?»
  «Ohhh, in molti negozi… ma dove ti consiglierò io è meglio, è speciale…»

  La strada è una di quelle strade oscure, dove i palazzi crescono alti, ammassati l’uno sull’altro e la luce del sole non filtra mai. Le serrande delle finestre sono tutte abbassate, i vicini possono vedere, da un edificio all’altro, la vita che scorre negli appartamenti, quindi calano tutto, condannando le case ad un buio totale. Un gatto miagola appollaiato sulla massa di rifiuti gettati a terra, mi guarda un attimo, la lingua penzoloni, così pieno di pulci da fare impressione. A terra sembra ci sia stata una guerra di cartacce e assorbenti e siringhe, come se una farmacia intera avesse messo all’asta tutti i suoi prodotti. I muri sono coperti di scritte e dichiarazioni d’amore cancellate, mutate, manomesse. C’è puzza di uovo marcio. Mi stringo nel cappotto. Al centro della via c’è un negozio con un’insegna malandata, tatuata con un pennello tremolante, un carattere vecchio, d’altri tempi. Busso. La porta si apre da sola. Entro piano, come fossi risucchiato da una forza antica, atavica quasi. Ad accogliermi mille statue di mummie, vampiri e licantropi. Sulle mensole, posate con finta noncuranza, tredici maschere di cartapesta, fungo e legno aspettano solo di essere indossate. A terra un grande tappeto bucato sembra nascondere botole segrete.
  «C’è nessuno?»
Odore di incenso.
  Al bancone le statuine di elfi e fate mi guardano, coperte da un sottile strato di muschio verde.
  C’è un’altra sala, un po’ più piccola, piena di antichi disegni dall’alfabeto sconosciuto stampati su un materiale che sembra pelle, forse cuoio. Un grande ouroboros sovrasta il tutto, poco sotto il lampadario di cristallo e sette pupazzi (di quelli per i ventriloqui) mi osservano come fossero vivi.
  «Buongiorno».
Mi volto di scatto.
  Un uomo alto e molto vecchio mi guarda. Ha una lunga barba bianca che gli termina sul torace e due occhietti fini contornati da spesse rughe sbiadite. Le mani sottili si allungano a mostrare unghie che non vengono tagliate da molto molto tempo. È elegante, molto elegante, come fosse appena uscito da una serata di gala.
  «Salve, io... mi ha consigliato il suo negozio…»
Un verme, ma questo non posso dirglielo.
  «Lei è qui per un regalo, non è vero?»
  «Come fa a saperlo?», mi chiede Ganesh.
  «È Natale testa d’elefante, ovvio che sono qui per un regalo».
Il vecchio mi studia. «Potrei leggerle la mano o i tarocchi… cosa vuole?»
  «Sto cercando qualcosa per i miei genitori… i… i gamberetti ecco».
  «Forse avrebbe dovuto provare in pescheria», ride l’uomo.
Rido anche io, per educazione. «Quelli della NASA», dico.
Il vecchio si fa serio. «I gamberetti dello spazio».
  «Già».
  «Dello spazio…», ripete Ganesh tutto fomentato.
  «Aspetti qui».
L’uomo si allontana, per tornare un attimo dopo con una sfera in mano. Nella sfera c’è un piccolo ecosistema e lo stemma NASA ben visibile.
  «Una cosa tipo Area 51», gioisce Ganesh.
  «Da qui», dice il vecchio alzando la sfera, «niente entra tranne che la luce del sole. Questo è un ecosistema in miniatura che racchiude le attività fondamentali della nostra Terra. All’interno sono presenti dei gamberetti rossi e alghe grandi e microscopiche che producono ossigeno e cibo per gli animali. È un ciclo, è la natura. Il futuro… alcuni di loro sono stati mandati nello spazio profondo, alla ricerca di nuove forme di vita, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima».
  «Ohhh», faccio io ammirato.
Guardo la sfera, da dentro un gamberetto mi osserva, sembra sorridere.
  Sono fantastici. Li voglio. Papà e mamma saranno felicissimi. Pago senza pensarci due volte, nonostante il prezzo sia esorbitante, quasi da straordinario al lavoro. Ma non posso farne a meno, la biosfera è il simbolo del viaggio interstellare e Christopher Nolan, al gamberetto, gli fa ‘na pippa.

  Arrivo a casa felicissimo, voglio far vedere i gamberetti al mio coinquilino e ai vermi del frigo, ma quando entro ad accogliermi trovo un cimitero di larve. I vermi sono ovunque, sul soffitto, a terra, sui mobili della cucina. Molti sono spiaccicati, altri si muovono con difficoltà, divisi in due da una mano cattiva. Al centro di tutto Simone, con un grembiule da cucina imbrattato, che ansima disgustato.
  «Cosa hai fatto?», urlo.
  «Elia… erano ovunque… uscivano dal frigorifero… stavano colonizzando casa… io… è stata una guerra, ma credo di aver vinto…»
  «Nooo! Erano miei amici! Che tu sia maledetto! Dov’è il peperone?»
Simone indica il secchio dell’immondizia. «Volevo uscire a buttarlo, ma ero troppo stanco… fallo tu, ti prego. Ora vado in camera, ho bisogno di riposo».
  Mi fiondo a cercare l’ortaggio. Eccolo. Alcuni vermi escono disperati.
  «Elia Mangiaboschi è tornato!», geme Jacob.
  «Dov’è vostro padre?»
  «È morto combattendo… narreremo le sue gesta ai nostri figli…»
  «Ma cos’è successo?»
  «Avevamo colonizzato il frigorifero, eravamo troppi ormai. Nostro padre aveva scelto di uscire, per osservare il mondo esterno. Volevamo andare via, scoprire la natura, trovare nostri simili. In mille abbiamo spinto verso la libertà. Il frigo si è aperto, siamo usciti. Lo giuro Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone, saremmo andati via, già avevamo adocchiato la finestra… ma proprio in quel momento il perfido diavolo è spuntato dal nulla. È stato un olocausto… i nostri fratelli…»
Rimango senza parole. «Ho preso la biosfera», dico tirandola fuori dallo zaino. I vermi la osservano, i gamberetti fanno lo stesso. C’è tipo un momento di connessione animale ed io, l’uomo, sono al centro di tutto, come fossi una divinità.
  «Adesso non ti montare la testa», mi rimprovera Ganesh.
  «Salvaci ti prego, non vogliamo morire spiaccicati dall’Ama, triturati dalle sue lame metalliche».
  «Mai». Raccolgo il peperone, i vermi si attorcigliano attorno alla mia mano. Esco di corsa senza farmi vedere da nessuno, la luce flebile del tramonto ad illuminare i miei passi. Poco tempo per raggiungere la campagna di Trigoria.
  «Ecco», sorrido ai vermi. «Qui, tempo fa, abbiamo salvato un gruppo di serpenti. Andate miei piccoli amici, siete liberi».
Poso il peperone ormai putrido a terra. I vermi si guardano attorno, poi guardano me. «Grazie», dicono tutti insieme. «Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone del cielo, della terra e del frigorifero. Cercheremo nostri simili, scopriremo questo regno sconosciuto e ci moltiplicheremo all’infinito. E un domani, in un futuro lontano, verremo a trovarti. Perché noi, Elia Mangiaboschi, siamo già dentro di te. Siamo dentro tutti voi, che pensate di poterci uccidere. Noi nasciamo dal vostro marciume, quando il corpo cede, chiuso in una bara ormai decrepita. Ci nutriremo del tuo corpo, ma lo faremo con educazione, con garbo quasi, come l’ostia sacra donata nelle chiese di tutto il mondo. Buon Natale quindi».
  Cazzo non fa una piega.
Li guardo allontanarsi, questi vermi solitari, dal peperone, verso un futuro radioso. Poi torno sui miei passi, verso casa, curioso di ammirare le nuove forme di vita (i gamberetti) nella biosfera che tutto può.
  Oggi Trigoria, domani il mondo.

È Natale da fine ottobre. Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone sono sempre più intermittenti. Io vorrei un dicembre a luci spente e con le persone accese”.
Charles Bukowski 

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