lunedì 27 aprile 2015

LA FIDUCIA



  Hug!
La fatica di alzare il dito!
  Argh!
Digitare i codici!
  «E il tutto pensando ad altro!», dice Ganesh.
  «Un genio!», urla Groupie Numero 1.
  «Una star!», geme Groupie Numero 2.
  «Un mito!», sorride Groupie Numero 3.
BREVE INTERVISTA AD ELIA MANGIABOSCHI
[Tratta dal famoso volume: “Come lavorare poco e vivere felici”]
INTERVISTATORE: Salve Mr. Mangiaboschi.
MANGIABOSCHI (ammiccando): Salve Intervistatore.
INTERVISTATORE: Ci racconti il suo segreto, i lettori attendono… la prego, non sia parsimonioso…
MANGIABOSCHI: Certo, oh Intervistatore. Beh, il gioco è semplice ragazzi. Analizzando il teorema di Pitagora ed elevandolo all’ennesima potenza, confluendo poi verso le note teorie di certi alchimisti svedesi e unendo il tutto con le moderne dottrine sociologiche sono giunto ad una conclusione: il segreto è farsi vedere impegnati, sempre. Mi spiego meglio, il non far niente al lavoro, impiego (lasciatemelo dire) che il sottoscritto disprezza, è un’arte. Come riuscire altrimenti a girare ripetutamente e ossessivamente sui social network mentre, con pensiero sapiente, si svolge -anche se in minima parte- ciò per cui si viene pagati? Il segreto è questo: muoversi. Chi sono io in fondo se non un sabotatore del Sistema?
INTERVISTATORE: Ma quindi lei…?
MANGIABOSCHI (sempre ammiccando, espressione di chi la sa lunga): Io non faccio niente. I colleghi compilano trecentoventiquattro ricevute? Io ne facci novantanove, mai cento. E sai come… Jhon, perché Jhon ti chiami, non è vero? Me ne sto per i fatti miei. Zero confidenza, sorrisi sporadici, pochi amici. Semplice, come bere un bicchier d’acqua.
  Ma ora, quando il sole picchia e la luce avvolge ogni cosa, il Mangiaboschi vede qualcosa illuminarsi sullo schermo del suo computer. Lì, in alto a sinistra, dove il monitor dovrebbe rimanere nero.
  “Cos’è?”, si domanda pensieroso.
Nell’antro più oscuro dell’animo umano le voci si innalzano come pali della luce.
IL CRICETO: La so la so!
KARL MARX: Compagni, tenete duro! La luce rossa è il male!
GIACOMO LEOPARDI: La vita amici…
GRANE PUFFO: Io so cos’è.
MASTRO LINDO: Lo sappiamo tutti, ma nessuno ha voglia di riconoscere Il Segno.
CARL GUSTAV JUNG: Si dice che quando Il Segno s’illumina la fine di ogni cosa si avvicini in maniera incredibile, che sia il male stesso a chiamare…
IL CRICETO: Quindi… è giunto il momento…
GIACOMO LEOPARDI: Ordunque, due scelte vengono poste all’adorato: accettare Il Segno…
MICHAIL BAKUNIN: …O farsi licenziare.
MATTEO RENZI: E il lavoro, nel nostro meraviglioso Paese…
ELIA MANGIABOSCHI: No, Matteo Renzi no, non lui, non nella mia testa. A tutto c’è un limite…
CAPITAN UNCINO: Ha ragione! Buttiamolo in mare!
MATTEO RENZI:No! Aspettate, cosa fate… lasciatemi!
KARL MARX: Giù, negli angoli più remoti del Mangiaboschi! Facciamolo affogare nella merda!
MICHAIL BAKUNIN: A morte il capitalismo!
GRANDE PUFFO: Servo dei servi! A morte!
  Il Segnale troneggia sullo schermo. È la chiamata a cui non posso non rispondere.
  Io so.
  Devo salire al terribile Piano A.
Ta-dan!
  «Cosa attende il Mangiaboschi oltre la soglia?», dice Ganesh.
  «Quali oscuri segreti nasconde il Piano A?», gli fa eco Piero Angela.
Il Piano A, Fratelli & Sorelle, è il luogo nero dove a detta dei più si trova l’ufficio del Principale.
  Il Principale è il mio capo.
Mi alzo, strusciando i piedi come un condannato a morte. Sono stato chiamato, rimarrò anche io senza lavoro, finirò a vivere sotto ai ponti, lì giù negli anfratti del Tevere, in mezzo ai topi, chiedendo in giro qualche spiccio, vi prego! Morirò divorato dai coccodrilli che, tutti lo sanno, vivono lungo il fiume, costretto a bere il Tavernello… il Tavernello Cristo! Io! Che compro i vini migliori al Todis! Quelli da due euro e dieci! Che mangio solo i cibi più buoni! Il formaggio grattugiato che manco si chiama parmigiano! Ah! Me misero!
  «Dove vai?», mi chiede il Signor Marco.
(Io lo odio il Signor Marco)
  «Tu odi tutti Elia, l’arte della pazienza non è un dono che ti fu concesso…»
  «Hai ragione maestro Miyagi, ma non so come fare…»
  «Impara a controllarla, canalizzala. Pazienza Elia-san, pazienza…»
  «Dal Principale, sono stato chiamato», rispondo solenne al Signor Marco.
  «È stato chiamato! È stato chiamato!»
I colleghi mi circondano alzandosi di scatto dalle proprie postazioni.
  «Uno di noi».
Dalla massa uno squarcio si apre.
È lei.
Cammina storta, posando i piedi uno dopo l’altro. Mi guarda da dietro gli occhiali, inclina un poco la bocca a formare una O. Mi guarda. È la Capo-Piano, famelica presenza della Morte Nera.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Forme di difesa?
DAITAN 3: Attive!
MIMI’ (quella che giocava a pallavolo): Portello lacrimafacile?
DAITAN3: Attivo!
SIGNOR SPOCK: Bene. Siamo pronti. Azionare voce impastata, abbassare gli occhi di novanta gradi, guardare le scarpe della Capo-Piano in segno di reverenza. Muovere le dita. Mostrare imbarazzo. Innestare due tic vocali. Okay… e tre, due, uno… siamo in onda.
  «S… salve Capo-Piano, credo che… sì insomma, suo padre, il Magnifico Principale, mi abbia, come dire… chiamato…»
  «No Elia, no. Non è così. Mio padre ha scelto te».
  «Scelto me? Per cosa?»
  «Noi la chiamiamo: LA FIDUCIA».
  «Ohhh».
LA FIDUCIA
  Quando, nel buio delle tenebre eterne, lì dove il sole non sorge mai, venne costruito Il Palazzo, sede di Meccanic. A, l’azienda per cui Elia lavora, il Principale fece un patto con il diavolo, siglandolo con il sangue dei suoi dipendenti. Il patto venne chiamato LA FIDUCIA. Ogni anno, due volte all’anno, per placare la sete di sangue del maligno, viene scelto un sottomesso, un giovane possibilmente, che non abbia troppa esperienza ma che lavori per Meccanic. A da più di due primavere. L’oppresso dovrà, usando tutta la forza che ha, chiudere l’intero Palazzo, azionando gli antifurti, spengendo le luci e disattivando ogni cosa, prima che il famelico allarme avverta le forze dell’ordine.
SIGMUND FREUD: Ora. Tutti conoscete il Mangiaboschi, denominato anche Paziente 00. Sicuramente saprete che il suddetto è affetto ahimè da una precoce forma di paranoia che si manifesta in mille e più modi, tra cui:
- Controllare per tre volte che ogni cosa sia chiusa;
- (Ri) controllare per tre volte che ogni cosa sia chiusa;
- Contare i propri passi, assicurandosi che niente sia lasciato al caso;
- Accendere e spengere le varie luci per (almeno) tre volte;
- Osservare con più attenzione che le luci siano spente;
- (Ri) esaminare il tutto per una maggiore sicurezza.
PHILIP K. DICK: Capirete quindi che, quando Elia sente le parole della Capo-Piano il moto di paura che viene attivato è forte, atavico e viscerale. Qui ad esempio, negli angoli più oscuri dell’animo, dove noi Manipolatori/Manovratori di Cervello operiamo, il caos è ovunque. È la paranoia che, in poco tempo, prende il sopravvento.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Sale alla velocità della luce!
IL CRICETO: È un treno! È un uccello! È un aereo! No! È…
SUPERMAN: La Paranoia!
  «Rimarrai solo a chiudere ogni cosa. Manolo ti spiegherà come fare. Fu lui a vincere gli hunger games l’anno scorso», mi fa la Capo-Piano.
  «Sei nella merda, non batterai mai Manolo. Manolo è un fico, con quella testa da topo che si ritrova», mi dice Ganesh.
  «Eccerto, giusto perché tu c’hai paura dei ratti…»
Manolo mi mostra ogni pulsante, ogni allarme, ogni interruttore, mentre il tempo passa e le lancette dell’orologio scorrono più veloci del solito, come lame pronte a tagliare il collo.
  Ben presto i colleghi cominciano ad alzarsi, ognuno si avvicina, qualcuno sorride, altri mi danno rapide pacche sulle spalle.
  «Che bravo ragazzo era», diranno, «sempre presente, puntuale, mai un’assenza… un così bel giovane….»
Oh sì, perché io qua dentro ci muoio. La sento l’ansia che sale a dismisura, come fosse viva, e si attorcigliamiattanaglia divorandomi, dopo aver ridotto il mio corpo in mille piccoli pezzi.
  «Manolo», dico prima che se ne vada, «‘scolta un attimo. Ma perché ‘sta cosa de La Fiducia? Cioè, non è meglio la guardia privata? Il controllore insomma, il portiere o… ma chi è che chiude qui?»
  «Normalmente c’è il portiere e dopo la polizia privata. Ma oggi non è così. Per questo il Principale l’ha chiamata La Fiducia, da fidere, aver fede. Fidarsi dei propri dipendenti Elia. È la base di Meccanic. A, dovresti saperlo, siamo una grande famiglia. E adesso, proprio oggi, in questo giorno di giubilo, sei entrato nell’età adulta, come il padre che lascia le chiavi della propria automobile al figlio appena diciottenne. Non sei felice? È un piccolo passo certo, ma importante. Forza Elia, i giochi sono appena cominciati… ricorda, una volta chiuso tutto e azionato l’antifurto hai venti secondi per uscire, dopodiché le porte antiproiettile si chiuderanno per sempre e dodici volanti della polizia, della guardia di finanza e dei carabinieri giungeranno qui. E se ciò accadesse amico mio la fine, per te, sarebbe segnata. Quindi forza, forza e coraggio».
  Poi rimango solo.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Cos’è questa nebbia che tutto avvolge?
IL NEURONE: Il tremolio che ogni movimento prende…
GIACOMO LEOPARDI: Oh vita nera! Cosa saremo costretti a fare?
PARANOIA: Un manto oscuro ho gettato su di voi, infimi esseri dall’aspetto orripilante. Anche la divina Kundalini è mia, ormai persa nei mistici deliri alcolici. Osservatemi dunque! Ammiratemi! Perché io, e solo io, comanderò le vostre azioni!
  Sono perduto. I piani di Meccanic. A sono tanti, dovrò controllarli uno ad uno.
  «Parti dal tuo, presto! Prima che il buio avvolga ogni cosa!», mi fa Ganesh visibilmente impaurito.
  Okay. Devo adottare le celestiali tecniche dello yoga, gentilmente enunciate da Simone, il mio coinquilino.
  «Bravo Elia, bravo. Ascolta. Voglio donarti una cosa, un mantra, un mantra Shakti. Shakti dà il potere positivo di Dio. Se canterai questo mantra non ci sarà nessun nemico, tra cui di un proprio Io, che potrà sopraffarti. Si tratta di un mantra di immortalità», mi dice Yogi Bhajan.
  «Grazie maestro, grazie…»
  «…»
  «Il mantra maestro, ti prego, ne ho bisogno…»
  «Eh…»
  «Cosa?»
  «Hu, ecco io… ero convinto di averlo in tasca… giuro, sarà stato quel birbantello di Osho a prenderlo. Scusa Elia, alla prossima. Che il sole ti illumini sempre, l’amore ti circondi e la pura luce che è dentro di te guidi il tuo cammino. Peace».
Sono perduto. Cammino lungo il Piano G.
  Di nuovo.
Interruttore.
  Torno indietro, conto i passi. È una dannazione, un mostro.
Il cuore scoppia.
  No.
  No.
  No.
Sto cominciando a sudare.
PARANOIA: Elia Mangiaboschi è mio! Su miei schiavi! Manovrate il joypad!
SUPERMAN: E’ questo buio a renderci ciechi.
IL CRICETO: La cappa di nebbia calata sul nostro bel salotto.
GRANDE PUFFO: Le scorte di alcol finite.
KUNDALINI: La Stanza dei Bottoni perduta.
KARL MARX: Ecco, facciamogli controllare un’altra volta di aver spento la luce nella sala computer.
  Torno indietro, controllando se ho spento la luce della sala computer.
  «Sei sicuro di aver chiuso bene le porte?», mi chiede Ganesh, «E se un ladro di notte si intrufolasse nell’azienda e rubasse importantissimi documenti riservati e segretissimi e domani la CIA venisse a prenderti a casa tua per portarti a Guantanamo e torturarti fino alla morte? Accusato addirittura di terrorismo internazionale? Verifica stolto, verifica.»
  Eseguo, ormai in preda alle allucinazioni, soggetto al volere oscuro di una forza ignota, cerebrale.
  Avanti e indietro.
  Ogni piano.
Poi ci sono. È il Piano A, dove si trova l’ufficio del Principale. Nessuno ci ha mai messo piede. La porta è lì.
  «Potresti forzarla…», mi suggerisce Arsenio Lupin. «Scoprire cosa si nasconde oltre la soglia».
  «Un grande tesoro forse…», gli fa eco Renato Rinino, il ladro gentiluomo.
  «Oppure… documenti scottanti, utili per ricattare il Principale», mi fa Jessie James.
No! I sani valori inculcati dal parentame impediscono certe azioni! Io, uomo onesto di natura, mai potrei scardinare la serratura della porta di un povero vecchio! Anche se…
  «Alzare lo sguardo tu devi Elia...», mi consiglia Yoda di Guerre Stellari. «Lato oscuro della forza in te io già avverto».
  «Hmmm, hai ragione Yoda. Eccola, la telecamera che tutto spia…»
Bene. Sogni di gloria già svaniti, devo solo abbassare le serrande, spengere le luci, attivare l’allarme, controllare di nuovo tutto e scendere. Dai, lo faccio, ché c’ho ‘sta cosa che mi brucia il petto. Luce uno, spenta. Luce due, spenta. Luce tre, spenta.
  «Riguarda», mi dice Ganesh.
Riguardo. Poi rimango al buio.
È un buio spettrale, pesante. Nero. E dal buio proviene un suono.
  Cos’è?
Da lì, l’ufficio del Principale.
Sbatte contro la porta.
Uno due tre quattro cinque colpi forti e decisi. Come se ci fosse qualcuno.
  Silenzio improvviso.
  Di nuovi i colpi.
 «Chi c’è?», sussurro.
Mi volto di scatto, una luce a intermittenza si accende bianca di neon. Di nuovo nero. Dal fondo mi sembra di scorgere un’ombra, anzi due. Sono piccole e bianche e si tengono mano per la mano.
  E se fossero…
  Cazzo le gemelle di Shining!
Chiudo gli occhi, li riapro. Niente, solo il vento che filtra dalle persiane abbassate.
  Un colpo, forte questa volta, dall’altro lato della porta.
Non c’è nessuno non c’è nessuno non c’è nessuno non c’è nessuno
  È l’immaginazione. Mi sto lasciando travolgere dall’immaginazione.
  «Troppi film dell’orrore», direbbe mia madre.
Scendo giù di corsa, pensando ai dipendenti morti, uccisi dal Principale in una notte di luna piena. Corro via, saltando le scale a piè pari. Ogni piano ha una mansione, ogni piano è una lettera, ogni lettera un nome. È un alveare, un formicaio, un mostro mangia lavoratori. Lo sento il Moloch che tutto può inseguirmi veloce. Sono dentro di lui.
  «Eddai fermati Elia», mi fa La Voce di Dio. «Stai esagerando».
  «Dici?»
  «Dico dico, so dove volevi andare a parare…»
  «In che senso?»
  «Beh, semplice. Da qui a poche righe avresti iniziato a scrivere dell’essere deforme chiamato lavoro, del lavoro come catena di montaggio, del padrone e degli impiegati grigi. Ti ho bloccato in tempo, prima che attaccassi pippa. Piuttosto, ti sei accorto che con tutte ‘ste cose sei arrivato al piano terra?»
  «Secondo te dovrei risalire a dare un’occhiatina veloce veloce per vedere se ho chiuso tutto? Cioè, giusto ‘na controllata?»
  «No Elia… grazie alla divagazione, alla giusta digressione sei riuscito a dissipare la nebbia paranoica che ottenebrava la mente. Approfittane adesso, prima che ritorni. Ma ricorda, ti manca ancora l’ultima prova, la più difficile.»
  I venti secondi cazzo.
  Ché dopo m’arrivano tutte le guardie e mi trattano come un criminale qualunque (mentre io, se proprio mi beccano, voglio essere trattato come il re dei criminali).
  Mi avvicino al portone.
Davanti al piccolo macchinario lampeggiante mi blocco.
  Vediamo. Una rapida occhiata al corridoio. Sì, ho chiuso tutto.
(Una corsa veloce indietro la faccio, ma non sto qui a descriverla, però sappiate che la faccio)
  Ci sono.
  Digito il codice che ho imparato a memoria, ripetendolo tutto il pomeriggio a mente.
  Oh oh.
L’ultima cifra Cristo.
Era tipo: 66633222, però cazzo mi manca il numero finale. E sì che quel fetente di Manolo s’era pure raccomandato.
  Memoria aiutami tu!
KARL MARX: Su, dov’è la Memoria?
GRANDE PUFFO: Sta giocando a carte con Paranoia!
MASTRO LINDO: Puliamo che qua c’è un casino. Facciamo addormentare Elia, poi domani ci pensiamo…
PHILIP K. DICK: Non è una cattiva idea, male che vada lo licenziano…
GRANDE PUFFO: Però invece di pulire che ne dite di una bevuta tra amici… eh, sono convinto che Leopardi qui è dei nostri, non è vero? Con ‘sto bel faccino…
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Ma non capite? Ne va della nostra incolumità! Così facendo Paranoia avrà vinto…
GRANDE PUFFO: Vogliamo ridurla come la Kundalini? Ricordate sì quando era venuta qui da noi, tutta pomposa… oh, sono bastati un paio d’amari a farle cambiare idea… guardatela adesso, svaccata sul divano…
UNA MOSCA: Paranoia è un osso duro, difficile sbarazzarcene. Cerchiamo di ricordare il numero mancante forza.
GRANDE PUFFO: Senza memoria? E come facciamo?
IL NEURONE: I miei fratelli, tutti morti a causa vostra…
IL CRICETO: Come abbiamo fatto mille volte! Pensate alle fantastiche giornate di down a vent’anni, quando il nostro amato faceva baldoria ogni santa notte, tre rave a settimana, pub ogni sera, saggio estimatore di tutte le sostanze allucinogene sul mercato grigio dell’illegalità…
GRANDE PUFFO: Che tempi quelli!
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: C’hai ragione! A buffo! Tiriamo a sorte! Le cose a caso! Quel che capita capita!
UNA MOSCA: Ma sì! Seguiamo la Divina Regola del Glielapossofa’!
GRANDE PUFFO: Okay, ci siamo?
KARL MARX: Tre, due, uno…
Premo 5 e non ci penso più.
  «Allarme attivato», gracchia la voce registrata. «Venti, diciannove, diciotto, diciassette…»
  «Presto!», urla James Bond. «Qui scoppia tutto!»
Do un’ultima occhiata al corridoio, guardo in alto, poi in basso. Mi domando tre volte se avrò spento tutto, se ogni luce sarà abbassata e se le porte saranno ben chiuse. Per un decimo di secondo sono tentato di sbattermene dell’antifurto e di andare a controllare ogni singola cosa, mentre la paranoia delle prese della luce mi assale e l’incubo di aver spento tutti i computer prende il sopravvento; sento il cuore che martella, i tic che avanzano, il braccio sinistro che prende a pulsare. Conto ancora ancora ancora, indeciso sul da farsi.
  «Nove, otto, sette…»
  «Vinci le tue paure!», mi fa James Bond.
È sì 007, c’hai ragione.
  Un passo avanti e ci sono. Oltre la porta.
Chiudo.
  Due mandate sopra, una sotto, otto al centro.
Controllo di nuovo. Per sette volte provo ad aprirla.
  «Tu sei pazzo», mi dice Ganesh.
  «Lo so, ma è la paranoia».
  «Vinciti una volta per tutte».
Ma io non posso vincermi, l’ansia è così. E’ una cosa irrazionale, forte e terribile. Ti manda ai pazzi, ti fa andare fuori di testa. Comincia con il gas di casa, continua con le prese della luce, con la porta ben chiusa, con il forno staccato… e dopo, d’improvviso, ti ritrovi così, come me. A controllare dodici volte che ogni roba sia chiusa.
  Comunque.
Dopo aver -per sicurezza- provato a scardinare il grande portone di Meccanic. A guardo con orrore la telecamera sopra la mia capoccia che ha spiato ogni mia mossa.
  Osservo in alto.
  Salendo su su su con lo sguardo, fino alla cima, lì giù al Piano A.
E la vedo.
La luce accesa. Forte. Incredibile. Abbagliante quasi.
Una lacrima di sudore mi nasce dalla fronte.
  La mano di una bambina sembra salutarmi.

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