martedì 7 aprile 2015

LA SCRITTA [Parte 1]



  Il fatto è che a me indagare è sempre piaciuto. Dovevo fare l’investigatore privato io, mica l’impiegato frustrato e sottomesso. Se fossi stato un investigatore privato sicuro avrei acciuffato un po’ tutti, ché il mio fiuto sarebbe stato imbattibile e la mia vista supersonica. Quando da piccolo mi chiedevano «Elia, che vuoi fare da grande?», io rispondevo tutto impettito: «L’operaio sabotatore comunista edicolante investigatore privato». Leggevo Dylan Dog e per me gli indagatori erano tutti uguali: belli, poveri e con un’indagine nuova ogni mese. Avrei accettato anche le femmine, pur di fare l’investigatore. Poi sono cresciuto e ho capito che, più che Dylan Dog, gli investigatori privati sembrano tutti Tony Ponzi; però la mia smania di indagine non è mai andata perduta. Alle volte, a causa delle mie ricerche, mi sono trovato in situazioni difficili (come quella volta che ho seguito Lola, la mia vicina, di nascosto, pedinandola come un maniaco), altre volte il mio senso del mistero mi è tornato molto utile.
  Ma veniamo a noi.
  «Che è meglio», mi dice Quattrocchi dei Puffi.
  «Comunque mi sa che un’intro così l’hai già fatta un po’ di tempo fa», mi rimprovera Ganesh.
  Lasciatemi continuare. Vedrete, ‘sta storia è nuova.
Nel frattempo, negli abissi più profondi del cervello di Elia, là dove ogni cosa è concessa:
MASTRO LINDO: Il ragazzo si sta ammosciando. Sta diventando ripetitivo, proprio come Dylan Dog. Sicuro riciccia fuori una storia di quando era bambino, ché quelle le usa quando non c’ha niente da dire, il paravento.
GRANDE PUFFO: Oppure passa una giornata intera a descrivere l’allaccio delle scarpe.
SIGMUND FREUD: O i lacci delle scarpe.
MICHAIL BAKUNIN: O le scarpe.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: E così facendo…
IL CRICETO:  …È già partita mezza pagina.
PIERO ANGELA: Ascoltiamo il ragazzo, casomai ha qualcosa da dire…
LA MOSCA: O forse no…
YOGI BHAJAN (nella posizione del loto): Vorrei, se permettete, introdurre il discorso di oggi. Sarò breve, miei discepoli…
GRANDE PUFFO: Aho, ma mo questo sta tutti i giorni qua? Già eravamo stretti, ci mancava solo il santone…
TIMOTHY LEARY: Porta rispetto, lascialo parlare… lui può.
IL CRICETO: Forse dovremmo cantare tutti insieme prima. E stringerci mano nella mano. E magari accendere anche un incenso.
LA MOSCA: Effettivamente qualcosa puzza, tipo di marcio.
GIANNI MORANDI: Te ne intendi eh?
LA MOSCA: Da che pulpito.
YOGI BHAJAN (sorridendo, come il padre sorride al figlio): Vi prego, ho deciso di rimanere con voi perché ad Elia serve ordine e consapevolezza. Per un secondo solo -cos’è un secondo davanti all’Infinito?- soffermiamoci ad osservare il mondo con i suoi occhi. Lui è il nostro Mangiaboschi, vediamo che vede:
La cucina è distrutta. Ogni cosa è stata spazzata via: fornelli, bombole, forno, frigorifero, brodo primordiale, tavolo, sedie, cappa. Non c’è più niente. Al loro posto troneggia il marchio Ikea. È Ikea, e solo Ikea, l’arredamento perfetto nelle nostre case. È un’ipnosi collettiva, un mondo a parte, la creazione stessa di un universo tutto uguale, ripetitivo, monotono. Un uomo, il signor Ingvar Kamprad, è il responsabile di tutto questo. Alcuni dicono siano stati gli americani, altri gli alieni, fatto sta che, in tutto l’occidente (e non solo)  il gusto tipicamente svedese ha preso il sopravvento.
  Oh Cucina mia, cosa ti hanno fatto?
Ricordo ancora, non senza una lacrima, il lavandino incrostato, dove piacevoli forme di vita si riproducevano in un nuovo incredibile ecosistema… ah! Mia dolce cappa, casa di ragni immensi! Luogo sicuro per mille insetti dai mille colori! Che fine avete fatto!?? Io, che vi ho sempre amato! Costretto a vedervi soccombere per mano del malefico Mister X, il palazzinaro che tutto può! Già immagino la famiglia di scarafaggi ormai rimasta senza casa, sola in un mondo ingiusto, profuga in terra straniera! Dove siete miei piccoli amici?
  E ora, mentre mi chino ad osservare questo nuovo mondo, quando cado a quattro zampe e le nocche delle mani premono disperate sul pavimento lucido, la vedo.
IL NEURONE: Che vede?
IL CRICETO: Vede vede…
  È una scritta ben nascosta, scarabocchiata sulle mattonelle ancora rosse. È vecchia e troneggia spavalda dove un tempo c’era il frigorifero. Mi avvicino strusciando. La tocco. Sembra antica, molto antica. È scritta a penna, una Bic credo.
  «Ne sei sicuro?», mi domanda Ganesh.
  «Di cosa?»
  «Che sia una Bic, forse è un’altra penna».
  «No no, vedi il tratto? La resistenza, te lo dico io, è una Bic».
Non l’avevo mai notata, il frigo l’aveva nascosta per anni. E non solo il frigo, anche la polvere e la muffa, chili e chili di muffa depositati senza pietà.
  Adoravo la muffa.
  «Perché, sotto sotto, sei credente», ammicca La Voce Di Dio. «E ti piace pensare che dalla muffa nasca la vita».
Ma ora, grazie alla cucina appena rifatta, la scritta è uscita. Il carattere dallo stampo incerto sembra quello maschile. Grandi lettere maiuscole una dietro l’altra, parole difficili da comprendere, a tratti quasi tremolanti. La calligrafia cioè, è tremolante. C’è scritto: “La vita è bella perché è avariata, se è sempre quella che vita è?!”, e questa frase, Amici & Amiche, mi colpisce più di un treno a trecento all’ora. Mi entra dentro, mischiandosi al sangue e giungendo giù, nell’angolo più oscuro del mio Io.
GRANDE PUFFO: Dove ci siamo noi.
KARL MARX: Ricapitolando, il ragazzo trova una scritta sul muro di casa sua per anni nascosta dal frigorifero.
MASTRO LINDO: Il che ci fa pensare…
CARL GUSTAV JUNG: ...Che Elia non abbia mai pulito.
KARL MARX: Ora, cos’è che colpisce così tanto il nostro diletto?
IL CRICETO: La calligrafia incerta?
MASTRO LINDO: Il fatto che lì dietro non abbia dato manco ‘na spazzata?
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: La so la so!
YOGI BHAJAN (con il respiro di fuoco): La parola “avariata”, tutto qui. La adora. E paragonare la vita ad un qualcosa che è andato a male lo manda in visibilio. Soprattutto nella sua accezione positiva. Elia vede l’esistenza proprio così, si riconosce quindi in queste parole. Ma fate attenzione, il termine “avariata” non è per il nostro amato un qualcosa di sporco, brutto. Anzi, come nella locuzione sopra citata, è proprio nel fatto dell’essere marcia e deteriorata che l’esistenza acquista senso. Capite?
MICHAIL BAKUNIN: Oh, intelligente questo, sarà stato pure un paraculo però…
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: E cazzo. La sapevo ‘sta botta! Sempre la parte del deficiente devo fare…
MASTRO LINDO: Secondo me, non per ripetermi, è tutto un fatto di igiene. Comunque, contenti voi, seguiamo ‘sta pista…
YOGI BHAJAN: Bene. Facciamolo indagare. Deve assolutamente scoprire chi è l’autore della frase.
SIGNOR SPOCK: Al joypad, presto.
IL NEURONE: Per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima.
  Mi muovo, come sospinto da una forza oscura. Ogni tanto, non posso negarlo, mi sento quasi un burattino. Ma la curiosità ha preso improvvisamente il sopravvento. Devo scoprire chi ha fatto la scritta. Devo sapere chi è. La mia indagine, Fratelli & Sorelle, comincia qui.
LE NOVE COSE CHE SERVONO AD UN BUON INVESTIGATORE:
- Un taccuino
- Una penna
- Un rilevatore di impronte
- Un impermeabile marrone
- Un paio di occhiali da sole
- Un microfono a distanza
- Una torcia
- Un paio di scarpe da ginnastica (silenziose, per i pedinamenti)
- Il tesserino scaduto della polizia di Stato.
  Quando ero piccolo alcune di queste diavolerie ce le avevo, ricordate le pubblicità sulle riviste che mettevano in vendita gli occhiali a raggi X? Ecco, con quelle robe lì io ci stavo in fissa. Mio papà, per farmi felice, quando voleva farmi un bel regalo, mi portava o il pupazzo di Big Jim (che era proprio un bel regalo) o un macchinario elettronico conta passi silenzioso. Poi però crescendo ‘ste cose le ho perse tutte (tranne un Big Jim decapitato che troneggia ancora a casa dei miei). Comunque, vado dal mio fido amico Simone -sdraiato sul divano a giocare alla Play- e gli chiedo, cercando di sembrare normale: «Aho, Simò, ma tu da ragazzino ce l’avevi mica il rilevatore di impronte digitali?»
  «Ma che, sei ‘na guardia?»
  «Mi serve, devo fare una cosa».
  «Cosa?»
Nella mia testa importanti risposte vengono pensate:
GRANDE PUFFO: Cercare una soluzione ai mali del pianeta.
KARL MARX: Prendere le impronte a tutta la borghesia corrotta e schedarla una volta per tutte.
IL CRICETO: Conquistare il mondo.
MASTRO LINDO: Pulire ‘sta casa, è un cesso.
BATMAN: E questo cosa vuol dire?
YOGI BHAJAN: Disciplina, vi prego. Il coinquilino capirà.
  «Coinquilino, capirai. Ogni cosa a suo tempo», dico assumendo la classica posizione zen. «Ora canta con me…»
  «Ti prego Elia, non vedi che sto morendo? Cristo in dieci m’hanno preso! Il rilevatore di impronte non ce l’ho. Mi spiace. Ma a che ti serve poi?»
  «Ho trovato una cosa».
  «Che?»
  «Prometti di non dirlo a nessuno?»
  «Ma a chi lo devo dire? Dai!»
  «Promettilo. O niente.»
  «Lo prometto».
  «Okay. Anche tu, da ora in poi, fai parte della FSSDIP, la Famosissima Setta Segreta Di Investigatori Privati».
  «Bene. E ora?»
  «E ora?!? E ora cazzo sei un investigatore privato! C’hai pure un lavoro! Dovresti solo ringraziare! E invece te ne rimani lì, sbracato sul divano, come un pesce morto. Devo mostrarti una cosa. Subito. Ne va della salvezza del mondo. Seguimi.»
  «Elia…»
  «E seguimi Cristo! Non mi fare incazzare Simone… ho trovato ‘na cosa assurda in cucina!»
  Simone spinge Pausa e viene con me.
  «Ecco», dico indicando la scritta.
  «Embè?»
  «Non ti mette curiosità? Chissà chi l’ha scritta… chi ha vissuto in questo appartamento prima di noi… chi era? Cosa faceva? Ma soprattutto, dov’è finito?»
  «Sarà stato un… poeta. O forse un muratore. Che poi più o meno…»
  «Non capisci? La casa è viva, nasconde segreti. Robe inconfessabili. La casa ci conosce come nessun altro. Rifletti… ogni volta acquista una nuova personalità, a seconda di chi la abita. Pensa a quei casolari antichi, di campagna, popolati per secoli da contadini e adesso gremiti di radical chic di sinistra. O alle vecchie case del Pigneto, un tempo piene zeppe di poveracci e oggi mutate in appartamenti lussuosi per finti compagni. La casa cambia, evolve, alle volte involve. La casa ci rispecchia. La casa è tutto... sa tutto di te Simone, ogni cosa. Ti guarda. E qui dentro, prima di noi, c’era qualcuno, probabilmente un uomo, che passava le sue giornate a scrivere sui muri… forse un pazzo, sicuro uno strano soggetto. La casa era sua. Dici che era una prostituta?»
  «Hai detto che è un uomo…»
  «Ho analizzato la calligrafia, così pare. Ma senza gli adeguati strumenti risulta difficile essere certi di un qualcosa, non trovi? Devo scoprire chi era. O chi è… vuoi tu Simone aiutarmi in codesta ricerca?»
  «No.»
  «Come no?»
  «Devo finire la partita. E in queste cose non ti seguo, lo sai. Ricordi con Lola cosa è successo?»
  «Però poi quando ti ho portato al locale come ti sei divertito eh?»
  «E che c’entra?»
  «Davvero non mi aiuti?»
  «Davvero. Facciamo una canna?«
  «Non posso traditore. Devo muovermi.»

  Il buon investigatore privato parte sempre da una traccia. Nel nostro caso, Colleghi & Colleghe, la nostra traccia è la scritta.
  «Sì ma se posso precisare la traccia nostra è che sappiamo che chi stiamo cercando ha abitato in questa casa prima di te e di Simone, quindi forse sarebbe il caso di fare qualche domanda in giro, non trovi?», mi fa Ganesh appollaiato sulla spalla sinistra.
  «Però testa d’elefante non diamo nell’occhio?»
  «È per questo che devi indossare un abito appropriato. Gli occhiali ce l’hai…»
  «Mi manca l’impermeabile».
  «Usa l’eskimo. Fa scena, così sembri uscito dal Kgb. Bravo, perfetto. Ora vai, facciamo qualche domandina a chi sappiamo noi…»
  Mi muovo furtivo lungo l’androne del palazzo, sgattaiolando tra le piante finte e le porte di ingresso. Uso piano le scale, evitando l’ascensore, mentre fuori le tenebre calano impetuose. Poi ci sono, davanti alla porta di Pasquale, il nerd secchione del terzo piano. Busso.
PASQUALE (il viso rosso, quasi paonazzo): Elia, hum, buonasera, che ci fai qui?
ME (inarcando il sopracciglio, la sigaretta piegata in bocca alla Jigen): Buonasera a te Pasquale, cosa stavi facendo?
PASQUALE: Io...? Niente, perché, hai sentito qualcosa?
ME (abbassando gli occhiali, sguardo glaciale): Assolutamente. Vorrei porti qualche domanda. Posso entrare?
PASQUALE: Adesso… no…
Un suono alle sue spalle ci distrae entrambi.
PASQUALE: Veramente, dovresti andare…
ME: Chi c’è in casa tua?
Di nuovo il suono, questa volta più forte, pare il verso di un dinosauro, di un archaeopteryx forse.
PASQUALE (gli occhi improvvisamente trasformati in spilli di sangue): Su che ho da fare, domani ho l’esame di biologia, che devi chiedermi?
ME: Chi abitava prima di me a casa mia?
PASQUALE: E che ne so. Sei arrivato prima tu qui. Fosse stato per me sarei rimasto a San Lorenzo… ora devo andare Elia scusa… torna a trovarmi! Ma avverti prima…
  Pasquale mi sbatte la porta in faccia, faccio un balzo indietro, dall’appartamento gli strani suoni continuano a riempire le mie orecchie.
  «Mai darsi per vinti Elia».
  «Certo Ganesh. Andiamo da Asdrubale l’Anziano.»
Così cammino nascondendomi ogni volta che una porta viene aperta, ad ogni singolo suono, mentre la notte ottenebra ogni cosa.
ASDRUBALE L’ANZIANO
  Busso tre volte, poi un’altra. Ad aprirmi si presenta un vecchio (Asdrubale) in vestaglia da notte. «Desidera?», mi chiede.
  «Salve, si ricorda di me? Mi chiamo Mangiaboschi, Elia Mangiaboschi».
  «Buonasera Elia. Stavo guardando la televisione, un programma insulso di politica insulsa. Una cosa terribile ragazzo mio. Sai, posso darti del Tu vero? La politica è morta. Oggi sono tutti uguali. Non si salva più nessuno e la mia pensione è sempre più bassa. Ma voi giovani cosa volete saperne di pensione? Ai miei tempi almeno c’era la certezza, qualche piccola sicurezza, voi non avete niente. Nulla. Però, sotto sotto, vi piace. Un po’ scansafatiche un po’ sognatori. Vi conosco io, vi guardo dalla finestra. Vi osservo ogni giorno, vi vedo andare all’università, bere il caffè, fumare la sigaretta, ammirare le ragazze. Sono un ottimo osservatore io. Ti piace osservare Elia?»
  «Sì, molto.»
  «Vuoi entrare? Scusa il disordine. Non ricevo molte visite, non più almeno.»
Entro piano, cercando di non far rumore. Mi accoglie una casa buia, polverosa, che odora di vecchio. Una casa piena di ricordi andati, di fotografie perdute e di fantasmi. Una casa che sa di cose passate, sempre in penombra, i tappeti impolverati, i ritratti di giovani che non ci sono più, di donne un tempo amate.
  «Oh sì, quella era la mia combriccola sai? Lui era il mio migliore amico e lei… lei il primo amore…»
  Il volume della televisione è alto, assordante quasi. Contrasta con la luce fioca della lampadina ormai prossima alla morte; Asdrubale mi fa accomodare su una vecchia poltrona sgualcita, quando mi siedo una nuvola di polvere si alza nell’aria. Sembra quasi un cambio, il mio e quello della polvere. Ed è lei, sempre lei, l’amica polvere, a levarsi sopra ogni cosa, a filtrare tra la luce, piroettando vorticosa lungo le strade immaginate.
  «Posso offrirti qualcosa? Un bicchiere di vino, un liquore…»
  «Non cedere Elia!», urla Ganesh, «Ricorda la missione!»
  «No grazie. Io ecco, volevo chiederle…»
  «E poi sai, c’è stata la guerra che io ero piccolo, però la ricordo come fosse ieri. Ricordo le bombe. E oggi sembra se ne siano tutti scordati. L’amavo veramente. Era la mia compagna. Non ci siamo mai sposati. Povera piccola. Ma scusa, passo di palo in frasca. È che non ricevo tante visite, i miei figli lavorano molto, non hanno tempo ed io li capisco, avrei fatto come loro… è che ogni tanto mi sento un’enciclopedia che non viene mai aperta. Sei giovane tu, però non so, forse ricordi… hai presente l’enciclopedia Treccani? Di là ce l’ho… è grande e bella ma nessuno la usa mai. Non più. Oggi c’è internet.»
Rimango in silenzio, indeciso se dirgli o meno che l’enciclopedia Treccani ormai sta tutta su internet…
  «Noi vecchi siamo enciclopedie che non vengono mai aperte. Però dai, va bene così… ripeto, a me piace osservare. Alle volte passo intere giornate affacciato alla finestra a guardare gli studenti, qui il sole non arriva mai. È buia questa casa.»
  «Riportalo sulla retta via Elia! Ricorda il motivo per cui sei venuto fin qua! Non lasciarti commuovere dalla voce del vecchio! Se cedi sarà la fine, passerai tutta la notte con lui! Sii glaciale! Senza pietà!», mi fa Ganesh.
  «Volevo farle una domanda…»
  «Dimmi figliolo».
  «Ha presente il mio appartamento? Ci abito con un altro ragazzo, Simone… qualche mese fa abbiamo avuto una perdita che ha allagato quasi tutto il palazzo, ricorda?»
  «Come dimenticarlo…»
  «Perfetto. Ecco, mi chiedevo: lei sa chi ci viveva prima di noi?»
  «Le case qui non sono molto vecchie…»
  «Lo so, però… sono curioso.»
  «La curiosità è una bella cosa. È come la rabbia. Molti dicono che non va bene. Non sono d’accordo. La rabbia serve. Bisogna essere arrabbiati e anche curiosi. Senza rabbia e curiosità il mondo sarebbe fermo, immobile e piatto. Una noia».
  «Non ricorda…?»
  «Hum… sì. Credo che… c’era un uomo. Forse non era solo. Un ragazzo. Quaranta, cinquant’anni massimo. Un giovanotto».
  “Lo sapevo che era un uomo!”, penso.
  «Non stava spesso in casa. Però aveva due mani incredibili. Ricordo che faceva di tutto, un gran lavoratore già. Ecco sì! Aveva aggiustato il tubo della casa! Faceva certi accrocchi incredibili! Lo ricordo con un bel viso e con la barba sfatta. Si reggeva su un bastone… e il bastone era di legno. Diceva di averlo rubato… non ricordo dove…»
Improvvisamente Asdrubale si fa moscio. «Chi sei?», mi chiede.
  «Sono Elia…»
  «È tardi ragazzo. Vai a dormire».
  «Non rammenta nient’altro?»
  «Giovanotto. Io non rammento niente…»
Esco dall’appartamento. Domani  continuerò le ricerche.

KARL MARX: Sulla lavagna ho scritto quel che sappiamo dell’uomo.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Quel che è interessante è questo rapporto con il bastone…
SIGMUND FREUD: Il bastone, come tutti saprete, richiama…
MASTRO LINDO: Però cazzo le slide... non erano meglio le slide?
SIGNOR SPOCK: Ci ho pensato io. Ecco qua. Questo è l’identikit dell’uomo misterioso. Sappiamo che ha tra i quaranta e i cinquant’anni, che fa lavori di fatica e che aggiusta cose…
CARL GUSTAV JUNG: Aveva tra i quaranta e i cinquant’anni. Ormai sarà più vecchio… mi sorprende Signor Spock.
IL NEURONE: Una sessantina?
CARL GUSTAV JUNG: Pressappoco. Adesso facciamo svegliare il ragazzo. Ha dormito troppo questa notte. Soffre di insonnia, ricordiamocelo sempre, non possiamo farlo riposare a lungo. Quindi sveglia Elia. Sveglia.
  Mi alzo di colpo. Corro in cucina. Sì, la scritta c’è ancora. Guardo l’orologio. Maledizione è tardissimo, al lavoro mi ammazzano. Mi vesto di corsa mentre: bevoilcaffèfumolasigarettacacomilavo. Afferro la bici ed esco; nell’androne incontro Anda la portinaia. «Anda!», dico.
  «Elia, ciao… ti prego non camminare sul bagnato… ho appena passato lo straccio. E la bicicletta, non con le ruote!»
  «Oh cazzo… scusa, mica l’ho visto… dammi lo straccio, ci penso io».
  «Macché, vai al lavoro che fai tardi. Ehi, ma sai che l’altro giorno la ragazza del piano di sopra si è portata un altro uomo in casa?»
  «Un altro?»
  «Eh. Uno diverso…», sussurrando: «gatta ci cova…»
  «Rifletti stolto! Anda è la portinaia! Lei sa tutto! Le portinaie sanno ogni cosa… sono le regine del palazzo, nulla può sfuggire alla portinaia… sicuramente conosceva il tuo uomo…»
  «C’hai ragione Ganesh, ‘spetta che chiedo».
Guardo Anda, le sorrido e «’Scolta, posso farti una domanda? Cioè, tu che sai tutto… chi c’era a vivere a casa mia?», chiedo.
  «Come?»
  «Prima di noi, di me e Simone dico.»
  «Perché ti interessa?»
IL CRICETO: Allarme rosso, allarme rosso! La portinaia sta indagando!
CARL GUSTAV JUNG: Azionare tutte le misure di sicurezza!
GRANDE PUFFO: Chiudere i portelli!
SIGMUND FREUD: Sistema di difesa?
IL NEURONE: Attivo!
  «Mah… così, a buffo. Ecco, a buffo sì. Pura curiosità postadolescenziale».
  «C’era un tizio, un uomo. Un poco di buono. Tornava a casa in piena notte, conosceva ogni bar del quartiere, non stava mai fermo… nell’ultimo periodo girava sempre con un bastone, secondo me era malato… beh, con la vita che ha fatto».
  «Perché?»
  «Te l’ho detto… andava per bar… ‘Vivo al di sopra delle mie possibilità’, ripeteva sempre… era un morto di fame, ogni volta un lavoro diverso… credo facesse cinema, tipo l’attrezzista… il bastone, mi sa che l’aveva preso in un set. Aveva certe mani… una cosa incredibile… una volta l’ho visto alzare da solo un frigorifero, tutto sulle spalle! Certo, dava sempre una mano a tutti, come no. Però poi te l’ho detto, a casa ci tornava in condizioni pessime…»
  «Quindi che faceva, si drogava?»
  «Non lo so, non mi impiccio mica io… certo, quella poveretta…»
  «Chi?»
  «La moglie, la compagna… non so neanche se erano sposati…»
  «Aveva…»
  «Buongiorno! Che fa signora Anda? Batte la fiacca?», dice Il Vecchio (colui che riscuote l’affitto) comparendo dall’ascensore.
  «Ma no, scambiavo quattro chiacchiere con Elia qui… torno subito al lavoro».
  «Ah Mangiaboschi. Contento della cucina nuova? Che bravo ragazzo mio nipote, così attento e scrupoloso. A pensare a voialtri morti di fame. Senza offesa eh…»
Sorrido, formulando nuovi possibili attentati contro Il Vecchio e Mister X (il nipote).

  Torno a casa distrutto, ore e ore a timbrare pacchi, il pensiero fisso sulla scritta. Mi fiondo in cucina a guardarla, è sempre lì, al suo posto. Infilo l’eskimo, mi accendo una sigaretta e salgo su, dalla misteriosa Signora del Quarto Piano, la donna dei serpenti (quelli che in una notte stellata abbiamo liberato nelle campagne di Trigoria).
  Toc toc
La porta si apre con un cigolio.
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Elia, buon pomeriggio.
ME: Buongiorno.
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Posso offrirti un tè?
ME: Come no, volentieri.
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Hai più visto i serpenti?
ME: Simone ed io ogni tanto siamo andati a cercarli ma niente.
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Si riproducono, te lo dico io.
ME: Che bella casa, è piena di cose.
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Sono ricordi, tutti quanti. Vedi quella foto? La donna accanto a me… erano suoi i serpenti, li adorava. Quando è morta è l’unica cosa che mi ha lasciato. Mi manca così tanto Elia. Ma c’è tanta vecchiaia qui. La vecchiaia si posa su tutto e sbiadisce ogni cosa, anche gli oggetti più belli. Ecco, il tè è pronto.
ME (bevendo): Vorrei farle una domanda.
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Dimmi.
ME: Ho trovato una scritta nel mio appartamento. Sicuro l’ha fatta il tizio che viveva lì prima di noi. Volevo sapere se, beh… lei lo conosce…?
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Chi non lo conosceva? Ricordo i suoi capelli ricci, folti, neri. Erano molto amici lui e la mia compagna. Si volevano bene… spesso veniva qui a prendere un cosa, proprio come fai tu adesso. Certo, preferiva la grappa, però una tazza di tè la accettava sempre. Perché ti interessa tanto?
ME: Non so, è la scritta… in qualche modo mi appartiene. Sono curioso, tutto qui. Mi piace scoprire cose, le personalità…
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Le personalità?
ME: Sì, delle case. Solo che sono schizofreniche, le case dico. Devo sapere chi c’era prima.
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Sei una ragazzo intelligente, non lo pensavo… aspetta, bevi il tuo tè, ho di là qualcosa che potrebbe interessarti.
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO (tornando con in mano una piccola tela): Vedi? Questo l’ha fatto lui. Amava disegnare, usava tempere chine acrilici matite, ogni cosa. Non aveva studiato eh… autodidatta. Credo questa tela sia una delle poche cose che ha finito… non concludeva mai niente, opere incomplete ovunque. Si stufava subito. Però guarda… osserva il tratto, i colori. Vedi, lì giù ci siamo la mia compagna ed io. Siamo noi due, quando eravamo ancora giovani.
ME: E quello in primo piano chi è?
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Il pianista. Lo metteva ovunque. Vedi com’è è tutto approssimato? Le figure non sono mai definite, eppure ci sono, sempre presenti.
ME: È bellissimo. È un caos… ordinato.
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Sì Elia, hai detto giusto. Un caos ordinato. Come lui d’altronde, come la sua vita. Ogni tanto si chiudeva e mandava via tutti, anche la sua donna. Povera ragazza, che pazienza… un giorno era un orso il giorno dopo il re della festa. Lunatico. Però a noi ci piaceva, ci faceva tanto ridere.
ME: Era sposato?
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: Sì. Credo si siano sempre amati, nonostante le scenate. Lei lo aiutava, ma riflettendo credo si aiutassero a vicenda. Si compenetravano. E il frutto…
ME: Dove sono andati? Ha l’indirizzo?
 LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: No, un giorno erano qui il giorno dopo non c’erano più. E poi siete arrivati voi… se vuoi più informazioni chiedi a Lola, la tua vicina. Elia…
ME: Sì?
LA MISTERIOSA SIGNORA DEL QUARTO PIANO: I serpenti… io li vedo tutti i giorni.

  La porta viene chiusa, rimango un attimo immobile, mi volto di scatto. Nessuno, solo il fischio del vento che sbatte contro le grandi finestre. Cammino sul pianerottolo, aspettando l’ascensore.
  Poi di nuovo un suono.
  Un altro, dalle scale. Mi affaccio. Il vuoto. Eppure…
Passi in lontananza, mi sento osservato, guardo in alto e per un attimo mi sembra di scorgere una figura fuggire via, è nera, il passo è lento, si regge alla ringhiera, poi non c’è più.
  Corro da Lola, guardandomi sempre le spalle.
GRANDE PUFFO: Hum, dove lo sta portando?
CARL GUSTAV JUNG: Non mi torna.
SIGMUND FREUD: Qualcuno lo segue.
IL CRICETO: Forse sarebbe meglio tirarci indietro.
MASTRO LINDO: La situazione…
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: …Si sta facendo ingarbugliata.
GRANDE PUFFO: Ecco l’appartamento di Lola, bussiamo.
  Busso.
Nel frattempo, nell’oscurità, due occhi mi fissano.

Continua...

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